lunedì 29 ottobre 2012

DIO E' SOLO AMORE


 ...sono ferite d'amore...

Dio non è altro che amore

Tutto sta in questo: non è che. Vi invito a passare attraverso il fuoco della negazione: solo al di là, infatti, la verità si dispiega in pienezza. Dio è l’onnipotente? No, Dio non è altro che amore. Dio è infinito? No, Dio non è altro che amore. Dio è sapiente? No. E a tutte le domande che mi porrete io vi risponderò: no e poi no. Dio non è altro che amore.
Affermare che Dio è onnipotente significa porre come fondamento una potenza che può esercitarsi anche attraverso il dominio e la distruzione. Ci sono degli esseri che sono potenti per distruggere: il diavolo è il primo e il più potente di questi. Molti cristiani mettono l’onnipotenza come sfondo e poi, solo in un secondo momento, aggiungono: Dio è amore, Dio ci ama. È falso! L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’amore: è l’amore che è onnipotente.
Si dice: Dio può tutto! No. Dio non può tutto. Dio può soltanto ciò che l’amore può, perché egli non è altro che amore. E tutte le volte che usciamo dalla sfera dell’amore ci inganniamo su Dio e ci costruiamo un idolo.
C’è una differenza fondamentale tra un onnipotente che ci amerebbe e un amore onnipotente. Un amore onnipotente non solo è incapace di distruggere qualcosa, ma è capace di arrivare fino alla morte.
In Dio non esiste altra potenza all’infuori della potenza dell’amore e Gesù ci dice: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Egli ci rivela l’onnipotenza dell’amore accettando di morire per noi. Quando Gesù fu arrestato nel Getsemani disse al discepolo che mette mano alla spada e colpisce il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio: Rimetti la spada nel fodero, perché quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? (Mt 26,52-53). Ma si è guardato bene dal farlo perché, in quel modo, ci avrebbe rivelato un falso Dio, ci avrebbe rivelato un onnipotente invece di rivelarci il vero Dio, colui che arriva fino a dare la vita per i propri amici. La morte di Gesù ci rivela la qualità dell’onnipotenza di Dio; non è un’onnipotenza di dominio, di sopraffazione, non è una potenza arbitraria. No, egli non è altro che amore, ma questo amore è onnipotente.
Tutti gli attributi di Dio (onnipotenza, sapienza, bellezza,...) sono gli attributi del suo amore. Ecco allora la formula che vi propongo: l’amore non è un attributo di Dio tra gli altri attributi, ma gli attributi di Dio sono gli attributi dell’amore. L’amore di Dio è onnipotente, sapiente, bello, infinito...
Che cos’è un amore onnipotente? È un amore che va fino all’estremo.
L’onnipotenza dell’amore è la morte: andare fino all’estremo significa morire per le persone amate.

LE CARATTERISTICHE DELL'AMORE

L’amore è accoglienza e dono. Il bacio è un bellissimo simbolo d’amore perché è segno del dono e dell’accoglienza a un tempo. Il bacio è lo scambio dei respiri che significa lo scambio delle nostre profondità: io mi soffio in te, mi espiro in te e ti aspiro in me in modo tale che io sia in te e tu in me.
Amore significa rinunciare a vivere in sé, per sé e in forza di sé per vivere per l’altro (è il dono) e in forza dell’altro (è l’accoglienza). È tutto il mistero della Trinità. La vita di Dio è questa vita di accoglienza e di dono. Il Padre non è altro che movimento verso il Figlio. Il Padre è paternità in grazia del Figlio e per il Figlio. Il Figlio è per il Padre e in forza del Padre. E lo Spirito Santo è il loro reciproco bacio, il loro reciproco amore.
Dal momento che la vita di Dio è questa vita di accoglienza e di dono, e poiché io devo diventare ciò che Dio è, non posso volere di essere un uomo solitario. Se sono un uomo solitario non assomiglio a Dio. E se non assomiglio a Dio, non potrò condividere eternamente la sua vita. Questo è ciò che si chiama peccato: non assomigliare a Dio, non tendere a diventare ciò che egli è, dono e accoglienza.
Se Dio non è altro che amore, allora è povero, dipendente, umile. Quando vedo Gesù inginocchiato ai piedi degli apostoli intento a lavare loro i piedi, proprio in quel momento lo sento affermare: Chi vede me, vede il Padre, cioè: Chi vede me, vede Dio (cfr. Gv 14,9). Dio non si rivela a noi come l’essere infinito. Il Dio in cui noi crediamo è il Dio rivelato da Gesù Cristo: un Dio povero, dipendente, umile. 


 POVERTA' DI DIO

Non esiste amore senza povertà. Approfondiamo questa meditazione a partire dalla nostra esperienza umana. Quando un uomo guarda la sua donna con uno sguardo d’amore in cui non c’è altro che amore cosa può dirle? Qual è la frase che può pronunziare per tradurre in linguaggio questo sguardo d’amore? Io non ne trovo che una: Tu sei tutto per me, tu sei tutta la mia gioia. È una parola di povertà: se sei tu a essere tutto, io non sono nulla. Al di fuori di te, io sono povero. La mia ricchezza non sta in me, ma in te. La mia ricchezza sei tu e io sono povero.
Se questo è già vero nell’amore umano, come lo è maggiormente quando si tratta di Dio. Dio è la povertà assoluta: in lui non c’è traccia di avere, di possesso. Eternamente il Padre dice al Figlio: tu sei tutto per me. Il Figlio risponde al Padre: tu sei tutto per me. E lo Spirito Santo è il dinamismo stesso di questa povertà.
È Dio il più povero di tutti gli esseri. O se l’espressione non vi piace, dite pure che Dio è ricco, ma aggiungete immediatamente: ricco in amore e non in avere. Ora essere ricco in amore ed essere povero è esattamente la stessa cosa. Dio è amore infinito e quindi Dio è un infinito di povertà, un infinito di altruismo e di dono. La proprietà è il contrario stesso di Dio.
Certo, nella complessità delle vicende umane, una certa dose di proprietà è necessaria: quaggiù l’essere senza avere è impossibile. Per questo la Chiesa insegna che c’è un diritto di proprietà: perché l’essere umano sia tale, è necessaria una certa quantità di avere. Ma in Dio non è assolutamente vero. E noi entreremo in Dio solo quando ci saremo spogliati di ogni avere. La povertà materiale di Betlemme e di Nazaret è solo il segno di una povertà molto più profonda: povertà immensa di Dio, infinita, assoluta, senza la quale non possiamo affermare che Dio è amore.
Come siamo lontani da certe immagini di Dio! Siamo cristiani seri: è qui il nucleo della nostra fede. Il cristiano serio è colui che afferma la povertà infinita di Dio.


DIPENDENZA DI DIO

Amare significa dipendere: ti amo, ti seguirei in capo al mondo, voglio dipendere da te.
Se nell’amore umano amare significa voler dipendere, questo è vero a maggior ragione di Dio, in cui l’amore viene vissuto in pienezza. Se Dio non è altro che amore, egli è il più dipendente di tutti gli esseri, è un infinito di dipendenza.
Stiamo attenti a non cadere nell’ambiguità, perché ci sono due tipi di dipendenza. Cerchiamo di chiarirci con un esempio. È il bambino che dipende dalla madre o è la madre che dipende dal bambino? Sul piano dell’essere e della vita è il bambino che dipende dalla madre, ma sul piano dell’amore è la madre che dipende dal bambino. Quando lui sta bene è tutta la sua gioia, quando lui sta male o muore è tutto il suo dolore, tanto è dipendente dalla sorte di suo figlio.
Dio è il più dipendente di tutti gli esseri: dipendenza nell’amore, non nell’essere.


UMILTA' DI DIO

Dio è umile, il più umile di tutti gli esseri, perché l’amore non può guardare dall’alto in basso. Uno sguardo fatto cadere dall’alto non può essere uno sguardo d’amore. Bisogna riflettere su questo e rifletterci a lungo. Ci vuole tutta una vita per capire soltanto un poco cosa sia l’amore; ed è proprio questa la vita cristiana.
Quando Gesù lava i piedi agli apostoli, li guarda dal basso in alto; e proprio in quel momento ci dice di essere Dio. Non cerchiamo Dio tra le nuvole quando invece sta lavandoci i piedi. La lavanda dei piedi è certamente una lezione d’amore fraterno, ma più profondamente è una rivelazione di ciò che Dio è. Dio non può che mettersi in basso, altrimenti non possiamo dire che Dio è amore. L’umiltà di Dio è la profondità stessa di Dio.
Se mi chiedete: Dio è più grande di noi? Io vi rispondo: Certamente! Più grande in amore. Quindi, in umiltà Dio è più grande di noi.
Noi non riusciremo mai a essere umili come lo è Dio. Il Dio in cui crediamo è infinitamente umile; in altre parole, si è spogliato di qualsiasi prestigio. Dio è la pienezza dell’umiltà.
Il cuore della potenza e della gloria di Dio è l’umiltà, senza la quale l’amore non è vero amore. L’amore vero non cade mai dall’alto in basso perché l’amore non è dominio ma servizio.
Nel cuore stesso di Dio esiste una potenza di nascondimento di sé.
Ci vuole più potenza nel nascondersi che nell’apparire. Ora, se Dio è onnipotente, Dio è un’infinita potenza di nascondimento di sé. Siamo lontani da Giove, dal paternalismo e dal trionfalismo! È questo il Dio che Gesù Cristo ci rivela.


(Lino Pedron)

domenica 28 ottobre 2012

IO SONO IL PANE CHE DA LA VITA


SE VUOI AVERE LA VITA
In verità, in verità vi dico: chi crede in Me ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende nel cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell'ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che man­gia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e moriro­no. "Chi mangia questo pane vivrà in eterno". (Giovanni, 6,47-58). 

MERAVIGLIOSO CONVITO CHE DA GIOIA SENZA FINE!
L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divi­nità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo Corpo come vittima sull'altare della Croce per la nostra riconciliazione.
Sparse il suo Sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo pu­rificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo Corpo in cibo e il suo Sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commen­sali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cri­sto, vero Dio.
Che cosa di più sublime di questo Sacramento?
Nessun sacramento in realtà e più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposi­zioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nel­la Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, per­ché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
Nessuno infine può esprimere la soavità di questo Sacra­mento. Per mezzo di Esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua Passione.
Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima Cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L'Eucaristia è il memoriale della Passione, il compimento del­le figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meravi­glie operate da Cristo, il mirabile documento del suo amore im­menso per gli uomini.
Dalle "Opere" di S. Tommaso d'Aquino. 

AVERE SEMPRE FAME E SETE


PURIFICA LA DIMORA DEL TUO CUORE
Dice Gesù: "lo sono colui che ama la purezza; Colui che do­na ogni santità. lo cerco un cuore puro: là è il luogo del mio ri­poso. "Prepara per me un'ampia sala dove cenare (Lc 22,12) e farò la Pasqua presso di te con i miei discepoli" (Mc 14,15). Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te, togli "il vec­chio fermento del peccato" (1 Cor 5,7), purifica la dimora del tuo cuore.
Caccia fuori tutto il mondo e tutto il disordine delle passioni; sta' "come il passero solitario sul tetto" (Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di cuore, alla tua ingratitudine. Chi veramente ama, prepara a colui da cui è amato, il luogo migliore e più bel­lo: di qui si conosce l'amore di chi riceve il suo Dio.
Sappi tuttavia che, per questa preparazione, - anche se du­rasse un intero anno e tu non avessi altro in mente - non po­tresti mai fare abbastanza con le tue sole forze. Solo per mia benevolenza e grazia ti viene concesso di accostarti alla mia mensa: come se un povero fosse chiamato al banchetto di un ricco e non avesse altro modo di ripagare che farsi piccolo e dire grazie.

Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con ogni attenzio­ne, non per abitudine, non per forza. Accogli il Corpo del tuo Dio che si degna di venire a te, con santo rispetto, con venera­zione e con amore. Sono lo che ti ho chiamato; sono lo che ti ho comandato di venire a me; e sarò lo a supplire alla tua povertà. Vieni e accoglimi.
Vieni per ricevere da me la santità, nell'unione con me; per ricevere nuova grazia, nel rinnovato, ardente desiderio di puri­ficazione.
"Non disprezzare questa grazia" (1 Tm 4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e fa' entrare in te il tuo Dio. Ricorda che è necessario non solo che tu ti disponga a since­ra devozione prima della Comunione, ma anche che tu ti con­servi in essa, con ogni diligenza, dopo avermi ricevuto. La tua vigilanza dopo la santa Comunione non deve essere inferiore a quella della preparazione; essa infatti ti dispone a ricevere sem­pre nuova grazia.
Chi, dopo la Santa Comunione, si abbandona alle cose este­riori, difficilmente si troverà ben disposto a ricevermi con de­vozione.
Evita il molto parlare; preferisci startene col tuo Dio. Tu lo possiedi! Il mondo intero non potrà togliertelo. Donati a me interamente, e vivi più in Me che in te, per sentirti libero da ogni affanno.

Dal libro, L'imitazione di Cristo. 


CIASCUNO ESAMINI SE STESSO
Io ho ricevuto dal Signore ciò che a mia vol­ta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella not­te in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memo­ria di me".
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese an­che il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me".
Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la mor­te del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore.
Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria con­danna (1 Corinti, 11,23-32).

Per fare una buona comunione sono necessarie tre cose:
 1. essere in grazia di Dio;
 2. sapere e pensare chi si va a ri­cevere;
 3. osservare il digiuno eucaristico.

Essere in grazia di Dio significa avere la coscienza monda da ogni peccato mortale.
Chi si comunica sapendo di essere in peccato mortale, ri­ceve Gesù Cristo, ma non la sua grazia; anzi, commette un orribile sacrilegio.
(Catechismo di S. Pio X). 


AVERE SEMPRE FAME E SETE
Fratelli carissimi, ascoltate attentamente. Ciò che vi dirò è ne­cessario al vostro bene. Sono verità che ristoreranno la sete del­la vostra anima. Vi parlerò infatti della inesauribile sorgente di­vina. Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò: non estin­guete mai la vostra sete. Così potrete continuare a bere alla sor­gente della vita, senza mai smettere di desiderarla. È la stessa sorgente, la fontana dell'acqua viva che vi chiama a sé e vi di­ce: "Chi ha sete venga da Me e beva" (Gv 7,3).
Bisogna capire bene quello che si deve bere. Ve lo dica lo stesso profeta Geremia, ve lo dica la sorgente stessa: "Hanno abbandonato me sorgente di acqua viva, dice il Signore" (Ger 2,13). È dunque il Signore stesso, il nostro Dio Gesù Cristo, questa sorgente di vita che ci invita a Sé, perché di lui bevia­mo. Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta della parola di Dio: chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio. Beve di lui chi arde d'amore per la sapienza.
Osservate bene da dove scaturisce questa fonte; poiché quel­lo stesso che è il Pane è anche la Fonte, cioé il Figlio unico, il nostro Dio Cristo Signore, di cui dobbiamo aver sempre fame. È vero che amandolo lo mangiamo e desiderandolo lo introdu­ciamo in noi; tuttavia dobbiamo sempre desiderarlo come degli affamati. Con tutta la forza del nostro amore beviamo di Lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l'intensità del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore.
Il Signore infatti è dolce e soave: sebbene lo mangiamo e lo beviamo, dobbiamo tuttavia averne sempre fame e sete, perché è nostro cibo e nostra bevanda. Nessuno potrà mai mangiarlo e berlo interamente, perché mangiandolo e bevendolo non si esaurisce, né si consuma. Questo nostro Pane è eterno, questa nostra sorgente è perenne, questa nostra fonte è dolce.
Per tale motivo il profeta afferma: "Voi tutti assetati, venite alla fonte" (Is 55,1). Questa fonte è per chi ha sete, non per chi è sazio. Giustamente quindi chiama a sé quelli che hanno sete, che dichiara beati nel discorso della montagna. Questi non be­vono mai a sufficienza; anzi quanto più bevono tanto più han­no sete.
È dunque necessario, o fratelli, che noi sempre desideriamo, cerchiamo e amiamo "la fonte della sapienza, il Verbo di Dio altissimo" (Sir 1,5), nel quale, secondo le parole dell'Aposto­lo, "sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3).
Se hai sete, bevi alla fonte della vita; se hai fame, mangia di questo Pane di vita. Beati coloro che hanno fame di questo Pa­ne e sete di quest'acqua, perché, pur mangiandone e bevendone sempre, desiderano di mangiarne e di berne ancora. Deve esse­re senza dubbio indicibilmente gustoso il cibo che si mangia e la bevanda che si beve per non sentirsene mai sazi e infastiditi, anzi sempre più soddisfatti e bramosi. Per questo il profeta di­ce: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore" (Sal 33,9).

Dalle "Istruzioni" di S. Colombano, abate.