lunedì 31 ottobre 2011

Solennità di tutti i Santi

La Festa di Tutti i Santi

La festa di Tutti i Santi, è una giornata di gioia, di spe­ranza, di fede.


Una delle giornate più raf­finate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, dell'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giusti­zia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa.

E’ la festa di Tutti i Santi, non solo di quelli segnati sul calen­dario e che veneriamo sugli alta­ri, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di pie­di, senza che nessuno si accor­gesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti no­stri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo.

Ho letto di un anziano parro­co di campagna che nel giorno di Tutti i Santi, per far capire al­la loro gente che si dovevano ri­cordare tutti i cristiani santi che stanno in Paradiso toglieva le im­magini e le statue dagli altari. U­na stranezza se volete, ma che voleva anche sottolineare il fatto che di solito, una volta che ab­biamo messo i santi sugli altari, li ammiriamo, li invochiamo, ma non li imitiamo, perché pensiamo che siano troppo eroi per vivere come loro. Ma non è così.

Nella festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci dice che i santi sono uomini e donne comuni, una mol­titudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e di metter­lo in pratica.

Sono questi i santi che salva­no la terra. C'è sempre bisogno di loro. È in virtù dei santi che so­no sulla terra, che noi continuia­mo a vivere, che la terra continua a non essere distrutta, nonostan­te il tanto male che c'è nel mon­do. Ed è in virtù dei santi di ieri, dei santi che sono già salvati e che intercedono per noi: “una molti­tudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo e lingua”.
La definizione più bella dei santi è quella di un bambino di una scuola materna. La maestra aveva portato la sua classe a visitare una chiesa con le figure dei santi sulle vetrate lu­minose. A scuola di catechismo ho domandato ai bambini: Chi sono i santi? Un bambino mi ha risposto: “Sono quelli che fanno passare la luce”.

Stupenda defi­nizione: i santi fanno passare la luce di Dio che continua ad illu­minare il mondo.

Nella festa di Tutti i Santi, noi celebriamo la gioia di essere an­che noi chiamati alla santità, per­ché ci è stato detto che abbiamo un cuore che batte come figli di Dio. Ci pensiamo?

E San Gio­vanni che ce lo ricorda: “Caris­simi vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente… ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sap­piamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo si­mili a lui, perché lo vedremo co­sì come egli è”.

Ma quale è la strada della san­tità? Gesù ce l'ha indicata con l' annuncio delle beatitudini che sono la sintesi del Vangelo, lo specchio di fronte al quale ogni discepolo di Cristo deve con­frontarsi.

È il portale d'ingresso del Discorso della Montagna, la “carta costituzionale del cristianesimo”. Ogni regno ha le proprie leg­gi. Le beatitudini sono la legge del Regno di Dio. Chi le osserva entra nella felicità del Regno. Questo dobbiamo capire. Dio ha posto nel nostro cuore la vocazione alla felicità, come ul­timo segno della nostra somi­glianza con Lui. Dio è il Sommo bene, il Beato per eccellenza. Per essere figli di Dio bisogna esse­re felici.

(A cura di G. Sangalli della Rivista mensile “Maria Ausiliatrice” Torino. )



Una moltitudine.

Quanti sono i santi? Nella sua visione, Giovanni parla di "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare di ogni nazione, popolo e lingua". Siamo in presenza di una folla enorme, nella quale non ci sono distinzioni di razze o di culture, tutti appartengono al popolo di Dio, il nuovo Israele. La caratteristica che li accomuna è quella di aver attraversato "la grande tribolazione". Per la realizzazione del Regno, essi hanno completato nella loro carne, ciò che mancava ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. E ora sono con lui nella stessa gloria di Dio. Attraverso la sofferenza sono giunti alla gloria, a cominciare dai martiri, che hanno dato la vita per la fede. È questo il cammino da compiere per giungere, anche noi, a far parte della "moltitudine immensa". Nessuno è escluso, ma la condizione è uguale per tutti: avere seguito Cristo sulla via della croce, condividere con lui ogni giorno la lotta per la giustizia e per la pace.


Figli di Dio.

Chi sono i Santi? La santità è una conquista, ma anzitutto un dono di Dio. Nella sua prima lettera l'apostolo Giovanni ci esorta a vedere "quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente". Non dobbiamo dunque guardare alla santità come nostro merito, ma anzitutto come dono, come grazia che ci viene da Dio. Lui solo è il santo e da lui viene ogni santità. Siamo "santi" perché, senza nostro merito, Dio ha partecipato a noi la sua stessa vita. "Noi fin d'ora, aggiunge l'apostolo Giovanni, siamo figli di Dio". La differenza tra noi e i santi del cielo è una sola: "Ciò che saremo, non è stato ancora rivelato". Non siamo ancora in grado di comprendere quale sarà la nuova condizione di vita che Dio ha preparato per noi, "quando saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". Notiamo nelle stesse parole dell'apostolo la difficoltà di esprimere una realtà di cui ci manca l'esperienza: essere simili a Dio e poterlo godere per sempre. È questa la radice della speranza che sostiene ogni credente.

Essere beati.
Numerose sono le categorie dei santi, che Gesù stesso indica nelle beatitudini, il discorso della montagna. Ci sono i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati, gli insultati e i calunniati. Per tutti costoro Gesù aggiunge: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" e li definisce "beati" cioè graditi a Dio per la loro condizione o per la loro operosità. Tutti li accomuna il fatto di vivere un'apertura totale a Dio, al suo Regno e al prossimo. È l'atteggiamento di chi ha fame e sete di giustizia, di chi desidera la pace messianica, di chi è umile e pronto a dare la vita per il Regno di Dio e la sua giustizia. Il discepolo "beato" è colui che sa e vuole imitare Cristo "povero e umile di cuore". I santi, oltre che amici di Dio, sono anche i nostri modelli di vita. Come noi, hanno vissuto tempi difficili e hanno incontrato avversità, conservando la fede. Con il loro esempio ci esortano a non cedere alla tentazione, ad avere fiducia nella grazia di Dio e nella sua bontà. Un Dio che non abbandona mai i suoi figli nel cammino verso di lui.


"Allora apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare,

di ogni nazione, razza, popolo e lingua.

Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello,

avvolti in vesti candide, e portavano pal
me nelle mani."

(Ap 7,9)



E' un fiducioso messaggio universale, che annuncia una comunione piena e profonda tra gli uomini di tutta la terra, uniti nella gioia della vita eterna, grazie all'amore di nostro Signore, creatore e redentore !

Numerose sono le schiere dei santi che ci precedono e, incessantemente, il cuore di uomini e donne si apre nuovamente alla chiamata del Signore, per operare a favore di questa comunione e permetterci fin d'ora di sperimentare la gioia della vita divina : "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di
Dio" (Mt 5,9). Preghiamo il Signore di illuminare sempre la nostra via, di far crescere in noi senno e discernimento, perché "noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato" (1 Gv 3,2).

Aiutiamoci gli uni gli altri nella nostra ricerca di fede, autentica e sempre rinnovata, sul cammino della Vita : "ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Sal 23,6) e rendiamo grazie al Signore per il suo amore infinito attraverso i secoli :
"Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,12) !



"Siate santi, perchè, io il Signore, Dio vostro, sono santo" (Lv;19-2)



LA SANTITA' E' LASCIARSI AMARE DA DIO
CHE E' LA SANTITA DI NOI TUTTI

giovedì 20 ottobre 2011

Non sono venuto a portare la pace

Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Parola del Signore


COMMENTO

Oggi Gesù spiega il motivo di certe incomprensioni che avvengono in famiglia a causa della Religione. Ci dice che è inevitabile il contrasto con quanti non credono e non pregano, un contrasto che non nasce da noi credenti, sono sempre gli altri a punzecchiare e a creare le condizioni per lo scoppio di contrasti.

La divisione di cui parla il Signore, non è voluta da Lui, è la sua Parola a creare la divisione.

Il suo Vangelo divide in modo inevitabile, anche se gli indifferenti sono molti e devono considerarsi tra quelli che lo avversano. Mentre i credenti tiepidi non difendono il Vangelo né lo diffondono nel loro ambiente. Magari vanno a Messa e si sforzano di pregare, ma il distacco del cuore dalla Parola di Dio è evidente.

E non vivono nella pace del Vangelo, sono solamente illusi di un’apparente pace.

La pace di cui parla Gesù nasce dalla verità del Vangelo, dall’adesione a questa Parola, perché la vera pace è interna alla predicazione di Gesù. Non predica una pace automatica solo perché ci si considera cristiani, è frutto di una costante conquista, una lotta interiore che si adempie con la pratica delle virtù.

I veri credenti che accolgono la Parola di Gesù, la difendono e la diffondono, trovano per questa ragione, oppositori che invece vogliono vivere in modo opposto e reagiscono, causando contrasti e divisioni. Non è colpa di noi credenti questa divisione, noi ci limitiamo a diffondere la sana dottrina del Vangelo, se altri non l’accettano causano queste divisioni.

E noi mostriamo di essere veri seguaci di Gesù se rimaniamo forti e non indietreggiamo nel difendere la Parola e nel praticarla sempre, con amore e verità. I veri cristiani combattono con coraggio per la verità, per diffondere l’eterna Parola di Dio.

Padre Giulio Maria Scozzaro

I padri del deserto e la preghiera

I padri del deserto e la preghiera


A riguardo della preghiera, Padri del Deserto ci hanno lasciato una preziosa indicazione.

Spesso ci capita di essere distratti nella preghiera e, per alcuni, costituisce un cruccio che a volte li fa star male...
E capita a tutti, purtroppo, e quando ci capita, ci accorgiamo di non essere capaci di pregare bene come vorremmo!
Ma, di dove vengono le DISTRAZIONI? Le cause sono molte, ma non crediamo che sia il chiasso di fuori che ci impedisce l'attenzione... Il chiasso più insistente è DENTRO DI NOI...
Una seconda causa - non me ne voglia nessuno...- è costituito dalle preghiere lunghe! Chi ha dimestichezza con la scuola o col catechismo sa bene che l'attenzione dei bambini non supera pochi minuti... poi bisogna inventare qualcosa per tener desta la loro attenzione! Ebbene, credete che sia differente per gli adulti? Chi predica si accorge subito che c'è negli adulti una attenzione lodevole nei primi dieci minuti... poi l'attenzione comincia precipitosamente a scendere... (Quanta ammirazione nutro per quei confratelli che credono di convertire il mondo con una predica di un'ora... Non si accorgono di essere pesanti... e, a volte, ottengono se non l'effetto opposto, sicuramente una specie di rigetto interiore!)


I Padri del Deserto raccomandano PREGHIERE BREVI E FREQUENTI... Esattamente come per la nutrizione del corpo: se riuscissimo a ingerire pasti più frugali ma più frequenti si avvantaggerebbe il nostro organismo!

Un caro saluto a tutti.

Don Giuseppe Greco

lunedì 17 ottobre 2011

La Messa

LA MEDESIMA VITTIMA DELLA CROCE


Guardiamo quel che avviene sull'altare. Che vediamo?

Dopo qualche preghiera preparatoria e le letture, il sacerdote offre il pane e il vino: è l'offerta o l'offertorio; fra poco questi elementi saranno trasformati nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore. Il sacerdote invita poi i fedeli e gli spiriti celesti a circondare l'altare (Pregate fratelli e Prefazio che diventerà un nuovo Calvario), ad accompagnare con lodi e omaggi l'azione santa. Dopo di che, entra silenziosamente in comunione più intima con Dio. Il momento della consacrazione arriva. Stende le mani sulle offerte, come faceva in antico il sommo sacerdote sulla vittima da immolare; richiama tutti i gesti e tutte le parole di Cristo nell'ultima Cena al momento di istituire il Sacrificio: Nella notte in cui fu tradito... Poi, identificatosi con Cristo, egli pronuncia le parole rituali: "Questo è il mio Corpo", "Questo è il mio Sangue".
Queste parole operano il cambiamento del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo. Per la sua espressa volontà e la sua istituzione formale, Cristo si rende presente realmente e sostanzialmente con la sua divinità e la sua umanità, sotto apparenze che restano e che lo nascondono ai nostri sguardi.
Con queste parole, il Sacrificio è compiuto. In virtù delle parole: Questo è il mio Corpo, Cristo, per l'intermediario del sacerdote, mette la sua carne sotto le specie del pane; con le parole: Questo è il mio Sangue, mette il suo sangue sotto le specie del vino. Egli separa così misticamente la sua Carne e il suo Sangue, che, sulla Croce, furono fisicamente separati, e la cui separazione produsse la morte.

Dopo la resurrezione, Cristo non può più morire: la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9). La separazione del suo Corpo e del suo Sangue che si fa sull'altare è mistica. Lo stesso Cristo, che è stato immolato sulla Croce, è immolato sull'altare, ma in modo diverso; e questa immolazione, accompagnata dall'offerta, costituisce un vero sacrificio.
La Comunione continua il Sacrificio; è l'ultimo atto importante della Messa. Il rito della consumazione della Vittima finisce di esprimere l'idea di sostituzione e soprattutto il legame che si trova in tutto il Sacrificio. Unendosi così intimamente alla Vittima che gli si è sostituita, l'uomo s'immola, per così dire, di più; l'Ostia, essendo divenuta cosa santa e sacra, mangiandola, noi ci appropriamo la virtù divina operata dalla consacrazione.
Nella Messa, la vittima è Cristo stesso, Uomo-Dio; perciò la comunione è l'atto per l'eccellenza di unione alla Divinità; è la migliore e la più intima partecipazione a questi frutti di alleanza e di vita divina che ci dona l'immolazione di Cristo.
Così, dunque, la Messa non è solamente una semplice rappresentazione del sacrificio della Croce; non ha solamente il valore di un semplice ricordo; ma è un vero sacrificio, come quello del Calvario, che essa riproduce, continua e di cui applica i frutti.


Marmion, Cristo vita dell'anima.

domenica 9 ottobre 2011

PRESENZA DIVINA

Cecità e durezza del cuore umano


Corrono molti fino a luoghi lontani per vedere le reliquie dei Santi e stanno a bocca aperta a sentire le cose straordinarie da loro compiute; ammirano le grandi Chiese; osservano e baciano con venerazione le sacre ossa dei martiri, avvolte in sete e in­tessute d'oro. Mentre qui, accanto a me, sull'altare, ci sei Tu, mio Dio, il Santo dei Santi, il Creatore degli uomini e il Signo­re degli angeli.

Spesso è la curiosità umana che spinge a quelle visite, un de­siderio di cose nuove, non mai viste; ma se ne riporta scarso frutto di miglioramento interiore, specialmente quando il pere­grinare è così superficiale, privo di una vera contrizione.

Mentre qui, nel Sacramento dell'altare, sei veramente pre­sente Tu, mio Dio, "Uomo Cristo Gesù" (1 Tm 2,5); qui si ri­ceve frutto abbondante di salvezza eterna ogni volta che ti si accoglie degnamente e con devozione. Non è la smania curiosa di vedere con i propri occhi che ci porta a questo Sacramento, ma una fede sicura, una pia speranza, un sincero amore.

O Dio, invisibile Creatore del mondo, come è mirabile quel­lo che Tu fai con noi; come è soave e misericordioso quello che concedi ai tuoi eletti, ai quali offri Te stesso, come cibo, nell'Eucaristia! Dono che oltrepassa ogni nostra comprensione, trascina in modo del tutto particolare il cuore delle persone de­vote e infiamma il loro amore.

Rammarichiamoci altamente e lamentiamo la nostra tiepi­dezza e negligenza, poiché non siamo attirati da un ardore più grande a ricevere Cristo, nel quale sta tutta la speranza e il me­rito della salvezza.

È Lui, infatti, " la nostra santificazione e la nostra redenzio­ne" (1 Cor 1,30); è Lui il conforto di noi che siamo in cammi­no; è Lui l'eterna gioia dei Santi. Rammarichiamoci perciò altamente che tanti cristiani si rendano così poco conto di questo mistero di salvezza, letizia del Cielo e fondamento di tutto il mondo.

Cecità e durezza di cuore umano, non curarsi maggiormente di un dono così grande, o, godendone tutti i giorni, finire spes­so col non farci più caso!

Se la santissima Eucaristia si celebrasse soltanto in un certo luogo e da un solo sacerdote in tutto il mondo, pensa da quale desiderio sarebbero tutti presi di andare a quel luogo, a quel sa­cerdote, per vedere celebrare una Santa Messa! I sacerdoti in­vece sono moltissimi e Cristo viene immolato in molti luoghi; così, quanto più è diffusa nel mondo la sacra Comunione tanto più è manifesta la grazia e la bontà di Dio verso l'uomo.

Grazie, o Gesù buono, Pastore eterno, che con il tuo Corpo prezioso e con il tuo Sangue Ti sei degnato di ristorare noi po­veri ed esulti, invitandoci a riceverti con queste parole, uscite dalla tua stessa bocca: "Venite a me voi tutti che siete affatica­ti ed oppressi ed io vi ristorerò" (Mt 11,28).

Dal libro, L'imitazione di Cristo.